domenica 29 novembre 2015

Exchange Family

Qualche sabato fa sono stata a Concord (triste) capitale del regno dei
boschi, con Lucía e Marie-Odile. Lucía è spagnola e Marie belga, e
giustamente perché una spagnola una belga e un'italiana si incontrano
e si incontrano nella capitale peggiore tra le capitali?
È un altro regalo di questa esperienza: amici sparsi per il mondo ma tutti
"ammassati" nel New Hampshire per quest'anno scolastico
piovono come polpette.
Marie era con me durante i primi tre giorni a New York ma non ci siamo
rivolte la parola se non in aeroporto e Newark, New Jersey, direzione
Manchester, New Hampshire: "uer ar iu from?"
"Belgium bat i cant spich englisc veri uel"
"uat?"
Ci siamo incontrate ancora il 4 settembre in una festa in piscina quando la
mia homesickness aveva lasciato spazio all'adrenalina e abbiamo
scambiato due parole; stessa cosa con Lucía che però non avevo mai visto
prima. A questo punto devo ringraziare la tecnologia: io e Lucía da quel
giorno abbiamo iniziato a parlare su snapchat per caso, finché non abbiamo
deciso di incontrarci a Concord anche con Marie che vive nella stessa
cittadina e spesso nella stessa casa di Lucía. Nonostante Concord fosse
davvero deprimente e non ci fosse assolutamente niente da fare, mi sono
divertita tantissimo con quelle due scapole: l'avere in comune un anno
all'estero è una colla potentissima, basta sapere il nome, cercare di
pronunciarlo correttamente e sei a posto, amiche per la vita.
Ci sono persone che viaggiano per turismo, persone che viaggiano sì per
turismo, ma soprattutto per crescere. Noi exchange students, che sia un
anno, sei o tre mesi, siamo tra quelli che viaggiano per crescere -ma da
soli non si cresce proprio per niente. A volte per diventare grandi e
forti c'è bisogno di una Lucía che con il suo accento marcato ti dice
che anche lei fa fatica a fare amicizia con questi americani così
fantastici ma così diversi dagli europei. A volte c'è bisogno di una
Marie che ti dice che anche la sua host sister qualche volta è
insostenibile e che le manca la sua sorella vera anche se in Belgio non
erano nemmeno così tanto legate. C'è bisogno di un Daniel che ti dice
che l'America è un'opportunità e "don't forget that this
is the land of dreams and I'm here for you, part of it".
C'è bisogno di un Ale che ti dà della troia in italiano e alza il medio
in linguaggio internazionale ma intanto ti sorride e dice che dovremmo
vederci più spesso. C'è bisogno di una Marine che dopo tre giorni
insieme ti scrive per dire che le manca il tuo sorriso, c'è bisogno di
una Cristina con un accento romano che fa schiantare che capisce i tuoi
bisogni, costruisce piani giovani e irrealizzabili con te e ti supporta
sempre e comunque.
C'è bisogno di parlare con qualcuno straniero come te che ti capisce
davvero perché sta vivendo l'esperienza enorme che stai vivendo tu
senza sentirsi in colpa perché non dovremmo parlare italiano quasi mai.
C'è bisogno di sapere che non sei sola.
Le persone in Italia ti stanno vicine ma non possono fisicamente; le
persone in New Hampshire ti stanno vicine e c'è pure occasione di
abbracciarsi davvero, non tramite Skype. (Gli americani sono freddissimi,
l'abbraccio è un rito sacro se non snobbato e l'orso abbraccia
tutti che scrive questo articolo soffre la mancanza di specie simili).
Forse questi ragazzi sono la parte migliore dell'esperienza:
l'amicizia è fondamentale. Sarà che siamo umani, nati per morire (Lana
del Rey è il mio mantra) ma anche per amare, costruire legami con altra
gente così uguale ma così diversa.

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