martedì 29 dicembre 2015

23 Dicembre 2015


Non mi sembra che sia Natale fra due giorni perché la scuola negli USA è un parco divertimenti più o meno ogni giorno per cui essere in vacanza è più
noioso che andare a scuola. Negli Stati Uniti giuro che odio le vacanze,
perché le mie giornate diventano incredibilmente monotone e noiose a parte
ovviamente i giorni che esco con i miei friends o con la family. Sta
mattina mi sono svegliata tardi, sono scesa a fare colazione e la mia host
sister mi ha salutato mentre stava seduta sul divano. E il fatto di vedere
lei invece che la mia sorellina italiana mi ha fatto pensare alla mattina
di Natale, quando non vedrò i miei, il nostro albero finto con decorazioni
solo ed esclusivamente rosse, la stessa carta regalo da duecento anni,
mamma che impazzisce perché si dimentica di cucinare qualcosa di
fondamentale, papà che fa le foto a me, Matilde e il fantastico albero
finto. Per cui ho inspirato profondamente, mangiato un po' di cereali
e poi ho deciso di farmi la doccia dopo aver annunciato a Sam
"I'll be back unless I'll die in the shower" lei ha
sorriso e mi ha risposto che contava sul fatto che avrei saputo
sopravvivere alla doccia. Sono entrata in bagno e sono scoppiata a
piangere, così forte che mi sono spaventata da sola e così forte che a Sam
è venuto un infarto perché ha pensato che non poteva essere possibile che
io stessi davvero morendo nella doccia. È accorsa e mi ha abbracciata e mi
ha ordinato di lavare via la tristezza. Non ci sono riuscita proprio per
un tubo; la mia nonna americana mi ha telefonato e sono scoppiata a
piangere di nuovo, ancora di più quando mi ha detto che mi ama. La
giornata poi si è evoluta per il meglio: sono andata a fare un po’ di acquisti natalizi con Sam dopo di che siamo andate, io lei e Jess (la mia host mum) a vedere un film molto carino al cinema, ‘Brooklin’, che racconta la storia di una ragazza Irlandese che si trasferisce a New York perché annoiata dalla sua vita e che dopo una sfiancante homesickness iniziale capisce che ‘home’ non vuol dire solo ‘Irlanda’, ma vuol dire anche ‘America’. Me in pratica. Casa è l’Italia, perché lì ci sono i miei amici e la mia famiglia assolutamente insostituibili, ma negli USA vivo decisamente meglio. Per dare un tocco finale alla serata mi sono fermata dal mitico Starbucks per comprare il mitico Mocha Frappuccino con panna montata, che non ho idea di cosa sia in realtà ma è fantastico; menomale che aprono Starbucks a Milano così almeno quello non mi mancherà. La ragazza alla casa me l’ha passato ‘4,73 $’. Ho  provato a pagare con tutte e tre le carte di credito e ovviamente non funzionavano manco a pagarle: la macchinetta continuava a strillare “ERROR BIIIIIP ERROR” e io iniziavo a sudare. Voi vi chiederete perché mai non ho pagato quegli stupidi quattro dollari con delle stupide monete come ogni comune mortale e io vi rispondo “perché non avevo neanche mezzo dollaro, bensì solo due euro”. Ho avuto problemi a prelevare per cui zero cash. Ho guardato la ragazza terrorizzata e prima ancora che potessi iniziare perfino a pensare come scusarmi per averglielo fatto preparare ma per doverlo lasciare lì causa bancarotta, lei ha fatto un sorrisone e mi fa “You’re all set.It’s a gift, Merry Christmas!” Io, povera piccola Exchange Italiana senza soldi ho pensato “quattro mesi qua e non capisci ancora una parola”, perché mi sembrava impossibile che mi stesse sul serio regalando il mio Mocha Frappuccino con panna  montata e gocce di cioccolato. A quel punto è intervenuta mia madre ospitante offrendosi di pagare ma la fanciulla ha insistito che sarebbe stato il suo regalo di Natale per me. Ero così felice che ho deciso di conservare il bicchiere di plastica.  Non penso che dimenticherò mai  quella ragazza, il suo sorriso e quanto mi pareva buono, ancora più del solito, il suo regalo.

Estate o Inverno?

È il 13 dicembre grazie a dio non è un venerdì e io sto andando in Vermont
per una gara di scherma. Vermont, New Hampshire, Maine sono stati
sconosciuti e se sono conosciuti è perché l'inverno è eterno, ad
Halloween la neve ha già attaccato e continua fino a fine marzo. Mi sa che
Vermont, New Hampshire e Maine non hanno più una "scusa" per
essere conosciuti perché la neve ce l'hanno solo sulle cartoline
dell'anno scorso e sulle montagne che sono troppo a nord (?) per
essere raggiunte. La gente fa morire perché a metà ottobre si lamentava
del sicuro e imminente arrivo della temibile, noiosa neve e adesso a metà
dicembre è preoccupata per questo sconvolgente ritardo della magica,
divertente neve. Poi c'è qualcuno che dice di stare tranquilli, che se
non nevica ora finirà di nevicare più tardi del solito, magari ad aprile o
già che ci siamo maggio, chi lo capisce questo tempo?
Mi sono iscritta alla squadra di sci della scuola si perché amo sciare, ma
anche perché ero spaventata da tutta la pressione causata dall'arrivo
della neve e avevo bisogno di una ragione valida per amarla e viverci in
mezzo. Ovviamente i miei piani non sono andati come il previsto e la
squadra di sci è solo una squadra perché non possiamo andare a sciare. Fa
perfino troppo "caldo" per creare la stupida neve per cui invece
che andare a rotolare giù per le montagne con un paio di sci attaccati ai
piedi, rotoliamo per il dolore con le scarpe da ginnastica dopo gli
allenamenti giornalieri intitolati "dryland" con la squadra di
indoor track, che in pratica è atletica al chiuso (ovviamente ridotta alla
parte che riguarda il correre perché lanciare il giavellotto o il martello
dentro scuola non pare una buona idea a nessuno).
La neve, che ci sia o che non ci sia, turba gli animi e i corpi.

È il 21 Dicembre, ufficialmente primo giorno di inverno. Sabato 19 ha
nevicato: avevo il sesto senso che mi tormentava perché il 19 dicembre,
compleanno della mia sorella italiana, nevica sempre e comunque, ovunque
mi trovi. Ho la tendinite al ginocchio sinistro e mi ha sabotato il
weekend: sono rimasta chiusa in casa due giorni incapace di camminare, di
pensare di sciare o di fare scherma (l'allenamento di sci programmato
per sabato in ogni caso era saltato causa zero neve quindi sarei dovuta
andare a combattere con la spada e con la lancia ma no, meglio il divano
con il ghiaccio sul ginocchio). L'unica cosa che ho fatto è stata
uscire per un'oretta con uno dei pochi amici veri che ho, Alex. A
Wolfeboro però non c'è assolutamente niente da fare e nemmeno da
inventare a parte passare ore dentro un dunkin donuts d'obbligo.
Dunkin' Donuts è una catena enorme di bar in cui vendono ciambelle
buonissime e "caffè" con dentro tanto di quello zucchero che poi
ci credo che gli americani hanno problemi con il loro peso. È l'unico
negozio parte di una catena che c'è a Wolfeboro: tutti gli altri sono
privati, ma dunkin donuts qua in New England (non so nel resto) è ovunque,
a me spaventa. Non puoi morire di fame quaggiù, perché anche nei posti più
remoti c'è una casetta arancione e fuxia in cui sai di poter trovare
un calorifero ma soprattutto energie tramite ciambelle. Molti lo odiano
proprio perché è come un parassita, io lo amo perché è il mio
intrattenimento New Hampshiriano. Non so cosa fare? Vado da dunkin donuts,
ovvio. Di solito ci vado a piedi perché è cinque minuti da casa ma visti i
miei problemi con il ginocchio Alex mi ci ha portata in macchina, cosa
abbastanza vergognosa. Andare a mangiare ciambelle a cinque minuti da casa
a piedi in macchina fa sentire persone orribili. Ma ho la tendinite quindi
sono perdonata, o no?
Comunque, bevevo la mia cioccolata con panna parlando con Alex e dal
momento che faccio una gran fatica a guardare negli occhi le persone
mentre parlo io, guardavo fuori dalla finestra. Si gelava ma c'era il
sole. Nei due minuti in cui Alex mi ha risposto, ho smesso di guardare la
fantastica strada fuori dalla finestra e ho guardato lui. Mi sono rigirata
quando era il mio turno di parlare e nevicava.
Manca poco svengo e mi va di traverso tutto quanto, altro che tendinite.
Alex non sembrava stupito per niente e se la rideva mentre io guardavo
sbalordita fuori cercando una spiegazione plausibile. Me lo aspettavo che
avrebbe nevicato, ma nonostante sia qua da quattro mesi e sia sempre così,
non mi aspettavo che il tempo cambiasse così rapidamente e drasticamente.
Ha nevicato una mezz'ora, poi è tornato il sole. Il New Hampshire
cambia umore più velocemente di quanto lo faccia io, non puoi perdere il
ritmo se no non lo ingrani più; stavo per scrivere che magari qua la
leggenda della neve ad agosto prende vita, ma ad Agosto purtroppo io non
sarò più in questo paese fantasticamente lunatico.

domenica 29 novembre 2015

Tre giorni (e zero notti) a Washington D.C.

L'organizzazione italiana che mi segue nel mio anno negli USA si chiama
WEP, mentre la mia organizzazione partner qua in New Hampshire si chiama
CHI. Non tutti gli exchange in America hanno la stessa organizzazione, ma
buona parte dei ragazzi in New Hampshire, che siano con WEP che siano con
qualcos'altro, hanno la stessa che ho io. La CHI quaggiù organizza
almeno un'attività al mese per permettere a me e ai miei amici
exchange di riunirci e l'attività di novembre era una gita di tre
giorni a Washington DC. (Per chi non lo sapesse, vero Gino? (Sai che i
love You), Washigton DC sta al confine con la Virginia, East Coast, non
nello stato di Washigton che è Nord West)
È stato pazzesco, grazie parents italiani che mi avete finanziata.
Venerdì sera sono andata a cena a casa di Claudio (messicano) con gli altri
ragazzi, poi io e Laura (belga) siamo rimaste a dormire lì e ci siamo
dilungate a parlare della vita e perché no pure della morte, già che
c'eravamo, fino alle 11.30 di notte. L'unico problema era che il
giorno dopo alle 2.30 del mattino eravamo in piedi "pronte" ad
andare all'aeroporto di Boston in direzione DC.
Siamo arrivati tutti e ventinove (sette italiani, gli altri da vari paesi)
a Washington alle 11 del mattino e abbiamo iniziato a girare e visitarla
in lungo e in largo subito. Giusto il tempo di fare pipì e ci siamo
ritrovati dentro il Congresso, dove creano le leggi della terra dei sogni.
A primo impatto la città in se è stata un po' deludente: mi aspettavo
New York la vendetta, ma è tutta un'altra storia; Washington è molto
europea e non ci sono grattacieli perché nessun edificio può essere più
alto del Washington Monument che assomiglia a un obelisco.
Sono finita per innamorarmene in ogni caso, sarà che è America.
È ampissima, ogni strada è gigante e questo è senz'altro un punto a
favore. Giuro che se non ci fosse il rischio di essere investita solo a pensarci volteggerei senza sosta in mezzo alla strada o comunque ci farei ballare un esercito di ballerine visto che io non sono molto portata.
DC è anche strana perché è molto collinosa quindi alcuni palazzi
sembrano alti ma in realtà sono solo in collina. In ogni caso il Washigton
Monument si vede da ogni angolo della città e la vista da lassù è magica,
mozzafiato.
Il Congresso, la corta suprema, il mausoleo, e ovviamente la
casa bianca, sono bianchi e puliti: Abramo Lincoln svetta all'interno
di quello che assomiglia a un tempio greco e fa venire voglia di seguire
le sue orme ed essere grandi come lui anche solo per avere una statua
grande come la sua. L'unica cosa che farei diversamente rispetto ad Abramo Lincoln sarebbe assicurarmi che la statua venga costruita prima della mia morte, così da piazzarmi di fronte e dire a chiunque passi "EHI SONO IO QUEL GIGANTE VEDI QUANTO SONO IMPORTANTE, AMMIRAMI"
Quando sono arrivata lì io e Marie ci siamo guardate
e"wow it exists": la statua di tutti i film ci osservava con il
suo sguardo fiero. Avrei tanto voluto sedermici in braccio ad Abramo
Lincoln.
Io, Marie, Daniel e Juliette il secondo giorno abbiamo perso la metro, le porte si
sono chiuse in frettissima. Noi quattro a terra con aria stupita, gli
altri che ci facevano ciao con le manine mentre il treno sfrecciava via e
Claudio con lo zaino chiuso mezzo fuori. Siccome non è come a Milano che
la metro passa ogni due minuti bensì ogni venti, ci siamo persi il cambio
della guardia al cimitero militare, ma i nostri amici ci hanno rassicurato
dicendo che era molto molto noioso e che probabilmente è stato più
entusiasmante aspettare nella fantastica metro. Hanno reso l'idea in
pratica.
È un luogo tosto se realizzi che oltre a essere bello, è un cimitero. Io
non ho realizzato: mi risulta impossibile che siano morte così tante
persone, e quasi tutte in guerra. Era una distesa di lapidi bianche e
pure, che sembrava infinita, surreale. Prego davvero che non scoppi una
terza guerra mondiale, di morti ce ne sono già stati troppi.
Per restare in tema, siamo andati nell'incredibilmente grande e triste
museo dedicato all'Olocausto. Non era il primo che vedevo, ma ogni
volta è un colpo al cuore o pugno nello stomaco come se fosse la prima.
Abbiamo visitato il National Treasury, dove fabbricano i soldi e accanto
alle pile di milioni di dollari c'era un cartello che mi ha fatto
schiantare "imagine how I feel making my life salary in less than 3
minutes"
Immagino immagino, vorrei rubartelo il tuo life salary.
Nel tempo libero del primo giorno, tra un mocha frappuccino e l'altro a
Starbucks con la mia dolcissima Marine (belga), sono andata al museo
"air and space" ma ero così stanca che buona parte del tempo
l'ho passata a fissare lo stesso aereo per una ventina di minuti
seduta su una panchina di fianco al bagno degli uomini. Nel tempo libero
del secondo giorno siamo prima stati all'immancabile Hard Rock che
probabilmente dovrà fare rifornimento in fretta se non vuole che il suo
business a DC vada a rotoli perché l'abbiamo svaligiato. Poi Fede
(italiano) ha deciso che per il suo amore per gli animali dovevamo per
forza andare al museo di storia naturale ed effettivamente era molto
bello: sembrava di entrare dentro una savana bloccata nel tempo e nello
spazio. Mi ricordava abbastanza il museo di scienze naturali della mia
amata Milano.
Una cosa fantastica di Washington è che tutti i musei sono gratuiti:
l'unica cosa che richiedono è un controllo rigorosissimo, non si sa
mai che qualche terrorista decida di far saltare in aria pure dei musei.
Ma d'altronde l'ignoranza è una brutta bestia e cosa gliene frega
a gente così ignorante di musei così belli?
La prima sera abbiamo fatto un tour in pullman della città e io tra una
tappa e l'altra ho dormito, che fossero due minuti o mezz'ora,
appena toccavo quel sedile blu mi addormentavo. La seconda sera siamo
stati a un concerto in stile gospel al bellissimo Kennedy Center ma siamo giovani capre per cui io e i miei amici italiani eravamo più concentrati a insegnare frasi tremende a un povero vietnamita al grido di "vuol dire ti amo, davvero" -classico- e appena tornati in
albergo abbiamo deciso di festeggiare, prima andando in piscina in mutande
e reggiseno perché nessuno se l'aspettava di trovare una piscina e di trovarla aperta alle dieci di sera, e poi brindando con acqua e
mangiando popcorn: nei frigo bar degli hotel americani ci si trovano
popcorn. I messicani che ci stavano ospitando alle 2.30 del mattino hanno
deciso di cacciarci dopo vari tentativi vani di fare un caffè -italiano-
decente e dopo varie occhiate così fulminati da parte del tedesco in
stanza con loro, così io, Juliette (francese), Marie (la mia amica belga del post precedente), Ale e Gabriele
(italiani con furore) abbiamo traslocato nella stanza dei vietnamiti e il
loro compagno slovacco. Ci ha aperto lui, confusissimo e fa "hi"
Ale ha sfoderato un sorriso ha 27482 denti e ha chiesto di poter entrare.
Il buon santo Patrick ci ha osservati con aria tra lo sconsolato, il
compassionevole e l'omicida e ha strillato "sure!"
Spalancando braccia e porta. Uno dei due vietnamiti è rimasto scioccato ma
poverino già prima non era molto normale; l'altro non ha fatto una
piega e ci ha accolti come se niente fosse, nonostante dormisse fino a due
secondi prima. Tra pop corn, face time con i miei compagni perché in
Italia era mattina, risate e caos, sono arrivate le 3 am.
Dopo un po' abbiamo lasciato Vietnam e Slovacchia e abbiamo traslocato
al diciassettesimo piano dell'hotel di Arlington e con una bellissima
vista della città da una parte e dei bellissimi ascensori dall'altra,
abbiamo continuato a mangiucchiare popcorn. Annoiati dalla vista della
città e dagli ascensori che cominciavano a diventare parecchio monotoni,
abbiamo deciso di andare a dormire.
Arrivate davanti alla porta della nostra stanza, io, Juliette e Marie siamo
incappate nella classica tragedia da gita scolastica: la perdita delle
chiavi.
Siamo andate in camera dei ragazzi italiani e abbiamo chiesto asilo
politico: le chiavi non si trovavano e alla reception non c'era
un'anima. Dopo una guerra piuttosto imbarazzante basata sul "io
dormo qua non me ne frega niente di voi arrangiatevi dormite nel bagno
dormite su di me ma lasciatami dormire", mi sono tolta le calze a
forma di panda di Marie, pronta per andare a letto, e sono uscite le
chiavi. Non chiedetemi perché avevo le chiavi nelle calze, non ne ho idea.
Fatto sta che alle 4:10 finalmente siamo arrivate in camera. Alle sei è
suonata la sveglia annunciante il nostro ultimo giorno nella capitale. Non
so dove abbiamo trovato la forza anche solo di tenere gli occhi aperti, ma
ce l'abbiamo fatta. Ci siamo goduti fino alla fine ogni angolo della
bellissima Washington e del "bellissimo" hotel in Virginia; ogni
minuto di tre giorni all'insegna dell'amicizia, del turismo, del
divertimento, della bellezza di essere giovani e di essere exchange.

Exchange Family

Qualche sabato fa sono stata a Concord (triste) capitale del regno dei
boschi, con Lucía e Marie-Odile. Lucía è spagnola e Marie belga, e
giustamente perché una spagnola una belga e un'italiana si incontrano
e si incontrano nella capitale peggiore tra le capitali?
È un altro regalo di questa esperienza: amici sparsi per il mondo ma tutti
"ammassati" nel New Hampshire per quest'anno scolastico
piovono come polpette.
Marie era con me durante i primi tre giorni a New York ma non ci siamo
rivolte la parola se non in aeroporto e Newark, New Jersey, direzione
Manchester, New Hampshire: "uer ar iu from?"
"Belgium bat i cant spich englisc veri uel"
"uat?"
Ci siamo incontrate ancora il 4 settembre in una festa in piscina quando la
mia homesickness aveva lasciato spazio all'adrenalina e abbiamo
scambiato due parole; stessa cosa con Lucía che però non avevo mai visto
prima. A questo punto devo ringraziare la tecnologia: io e Lucía da quel
giorno abbiamo iniziato a parlare su snapchat per caso, finché non abbiamo
deciso di incontrarci a Concord anche con Marie che vive nella stessa
cittadina e spesso nella stessa casa di Lucía. Nonostante Concord fosse
davvero deprimente e non ci fosse assolutamente niente da fare, mi sono
divertita tantissimo con quelle due scapole: l'avere in comune un anno
all'estero è una colla potentissima, basta sapere il nome, cercare di
pronunciarlo correttamente e sei a posto, amiche per la vita.
Ci sono persone che viaggiano per turismo, persone che viaggiano sì per
turismo, ma soprattutto per crescere. Noi exchange students, che sia un
anno, sei o tre mesi, siamo tra quelli che viaggiano per crescere -ma da
soli non si cresce proprio per niente. A volte per diventare grandi e
forti c'è bisogno di una Lucía che con il suo accento marcato ti dice
che anche lei fa fatica a fare amicizia con questi americani così
fantastici ma così diversi dagli europei. A volte c'è bisogno di una
Marie che ti dice che anche la sua host sister qualche volta è
insostenibile e che le manca la sua sorella vera anche se in Belgio non
erano nemmeno così tanto legate. C'è bisogno di un Daniel che ti dice
che l'America è un'opportunità e "don't forget that this
is the land of dreams and I'm here for you, part of it".
C'è bisogno di un Ale che ti dà della troia in italiano e alza il medio
in linguaggio internazionale ma intanto ti sorride e dice che dovremmo
vederci più spesso. C'è bisogno di una Marine che dopo tre giorni
insieme ti scrive per dire che le manca il tuo sorriso, c'è bisogno di
una Cristina con un accento romano che fa schiantare che capisce i tuoi
bisogni, costruisce piani giovani e irrealizzabili con te e ti supporta
sempre e comunque.
C'è bisogno di parlare con qualcuno straniero come te che ti capisce
davvero perché sta vivendo l'esperienza enorme che stai vivendo tu
senza sentirsi in colpa perché non dovremmo parlare italiano quasi mai.
C'è bisogno di sapere che non sei sola.
Le persone in Italia ti stanno vicine ma non possono fisicamente; le
persone in New Hampshire ti stanno vicine e c'è pure occasione di
abbracciarsi davvero, non tramite Skype. (Gli americani sono freddissimi,
l'abbraccio è un rito sacro se non snobbato e l'orso abbraccia
tutti che scrive questo articolo soffre la mancanza di specie simili).
Forse questi ragazzi sono la parte migliore dell'esperienza:
l'amicizia è fondamentale. Sarà che siamo umani, nati per morire (Lana
del Rey è il mio mantra) ma anche per amare, costruire legami con altra
gente così uguale ma così diversa.

domenica 1 novembre 2015

Autunno in macchina

In America hanno un concetto diverso di "distanza" di quello che abbiamo noi: ventidue ore in macchina per andare a salutare il padre, dodici per la senior picture, oppure un'ora per andare a fare shopping, quaranta minuti per gli allenamenti di scherma, sono aspetti della vita di tutti i giorni. La macchina, come c'è scritto nel mio sacro libro di governo americano (o educazione civica, same) è stata la rivoluzione della vita degli americani.
I tragitti considerati lunghi in Italia dai trenta minuti in su in macchina per me (che nonostante abbia diciassette anni non posso guidare perché sono qua per studiare, mica per la patente) sono diventati parte integrante della routine ma soprattutto il luogo in cui do' sfogo ai miei pensieri lasciandoli correre in ogni possibile direzione, su ogni possibile strada.
La macchina è il posto in cui ho parlato con la mia host mum per cinque ore (stavamo andando a prendere Sam, mia sorella, a
Long Island) il secondo giorno in New Hampshire, noncurante della pronuncia tremenda e dei complessi; è il posto in cui ho pianto tutte le mie lacrime il quarto giorno in un parcheggio vicino a una spiaggia a Wolfeboro, quando non ce la facevo più a trattenermi e la paura di un'esperienza così grande mi stava distruggendo, al fianco della mia host mum che sorrideva e mi sosteneva.
La macchina è il posto in cui nelle note del telefono scrivo il mio blog.
È la scusa buona per uscire con chiunque perché "in Italy we can't have the license until we're 18, yeah I know it sucks, I really would love to be allowed to drive"
E quindi "OH MAN IT REALLY SUCKS, I'll definitely drive you everywhere, everyday."
Un americano senza macchina, è americano a metà.
Ormai conosco benissimo la strada che percorre il New Hampshire da nord a sud, ed è davvero bello notare di giorno in giorno i cambiamenti delle foglie. Il New England (Stati del Nord Est) infatti è famoso per le foglie dell'autunno con i loro colori e in effetti lo consiglio come posto da vedere almeno una volta nella vita, perché mozza il fiato. Sto iniziando ad amare pure i giorni di pioggia -e chi mi conosce sa quanto mi fa schifo la pioggia- perché il cielo grigio contrasta con l'arancione, rosso, viola, giallo e qualsiasi sfumatura vi venga in mente delle foglie, ed è bellissimo. Esco spessissimo con la mia macchina fotografica al collo anche se ci sono due gradi come temperatura massima perché non voglio perdermi nemmeno un secondo dell'autunno che è e probabilmente sarà il più bello della mia vita; voglio che la bellezza di questo New Hampshire in Ottobre rimanga eterna nelle mie foto.
In macchina prima di iniziare a scrivere questo "articolo" ho pensato a quanto sia fortunata ad avere questa opportunità pazzesca. Due mesi sono volati e non vedo l'ora di vivere gli altri otto al meglio, anche se a volte la prospettiva mi spaventa enormemente. Ancora una volta grazie a tutti quelli che mi hanno permesso di realizzare questo American Dream, preparatevi psicologicamente e fisicamente che appena torno mi metto a studiare per diventare una (pericolosa) guidatrice.

lunedì 19 ottobre 2015

Homecoming Week (5-10 ottobre 2015)


Nessuno sa a cosa serva l’ homecoming e perché esista.
Si sa pero’ che é America, e un liceo americano non é liceo e men che meno non é americano senza l’ homecoming week.
L’ homecoming andava dal 5 al 10 ottobre e ogni giorno dovevamo travestirci in maniera diversa:
lunedì pigiama
martedì’ turisti
mercoledì ragazzi del college (-what does it mean? -have you got an american college sweatshirt? -no, I’m from Italy -well, this could be a problem)
giovedì candidati alla presidenza
e venerdì ogni anno doveva vestirsi del suo colore. Io sono senior, ultimo anno, quindi ero blu dalla testa ai piedi.
Giovedì avevo partecipato relativamente poco alla decorazione del corridoio principale, e non avevo la minima idea di quello che sarebbe stato il risultato finale:
venerdì sono entrata a scuola e mi sono trovata travolta in un gruppo di seniors strillanti di gioia ma anche di tristezza (perche’ il liceo é tutto, lasciarlo per il college é lasciare una vita e iniziarne un’altra, un po’ come me, solo che io sono io e a qualcuno non piacciono i cambiamenti).
Il corrido era una meraviglia. Era diviso in quattro sezioni, una per ogni anno: un oceano formato da animali quali delfini, tartarughe ecc ecc disegnati alla perfezione, stelle filanti verdi e blu penzolanti dal soffitto. Un deserto, il pavimento ricoperto di vera sabbia e con al centro una piramide a dimensioni non reali ma quasi fatta per passarci sotto. Una giungla, pareti ricoperte di verde, animali come per l’oceano, liane verdi ovunque. In conclusione l’”area” dedicata ai seniors, che sono un po’ come eroi: una quindicina tra ragazzi e ragazze in blu riempivano lo spazio sorridenti: i seniors sono il loro stesso mondo, non c’è bisogno di giungle, oceani o deserti in cui classificarli. Un proiettore proiettava sul muro foto di quest’anno e dei tre precedenti, ricordi di cui io sto entrando a far parte; appesi al soffitto c’erano pensieri e parole di tutti noi del quarto anno: “cosa ti mancherà di questa scuola a parte i tuoi amici?” io ho scritto “tutto”.
Le finestre del corridoio che danno sulla mensa che è al centro dell’edificio erano ricoperti di cartelloni che formavano la scritta “2016, wonders seniors”.
Nel pomeriggio sono andata alla partite di football e pallavolo con le mie amiche. Sebbene di football e pallavolo mi interessi relativamente, mi è piaciuto moltissimo:mi sono sentita accolta in una grande famiglia perchè tutti conoscono tutti e tutti mi trattano come se fossi da sempre una di loro. La temperatura era bassissima ma era impossibile avere freddo stretta in mezzo a tutti quei sorrisi.
(Il team di football ha miracolosamente vinto mentre quello di pallavolo ha miracolosamente perso).
In conclusione di una settimana di risate e di festa, sabato 10 ottobre la scuola aveva organizzato una festa nella palestra della scuola.
(la palestra della mia scuola americana e’ il doppio di quella della scuola italiana. Non manca pero’ anche una palestra in stile liceo scientifico g ferraris e una sala tipo palestra della Robur -chi è di Varese può immaginare- giusto per soddisfare chiunque)
Primo “american party”: mi sono preparata a casa di Alex insieme a lei e Casey e ci siamo dirette alla festa strategicamente in ritardo per evitare la fila al gelo: eravamo vestite come per una festa a Ferragosto ma c’erano tre gradi celsius.
Siamo entrate a scuola  e ci siamo tolte le scarpe per non rovinare il pavimento della palestra che è sempre brillantissimo, poi ci siamo immerse nella musica.
Mi sono divertita tantissimo e ho conosciuto un sacco di nuove persone, mi mancavano le feste in stile Italia super loud mischiate alla cultura americana, e so che quando tornerò mi mancheranno gli americani (alle feste e non) in stile “YOU’RE THE ITALIAN GIRL RIGHT? THAT’S AWESOME!”
Se siete “close minded” preparatevi psicologicamente prima di una festa negli USA perchè il twerking qua fa parte della cultura e le ragazze ne vanno particolarmente fiere. Ho evitato di farmi coinvolgere ma prometto che vale la pena andarci comunque perchè fanno morire dal ridere, sto pure rivalutando la mia opinione su Miley Cyrus.

sabato 3 ottobre 2015

Scuola in New Hampshire


Cara Italia,

la scuola Americana vince.

È esattamente come nei film, è la scuola dei sogni.

Vado a scuola dal lunedì al venerdì (riabituarsi al sabato sarà un trauma), dalle 7.25 alle 14.24. Sì, 24, non ho sbagliato a scrivere. Non è nemmeno tanto pesante svegliarsi un’ora prima che in Italia perché qua vado a letto piuttosto presto, non dovendo studiare 567 pagine di scienze, 828 di filosofia, 214 di storia e un migliaio tra italiano e latino.

La scuola è divisa in due semestri: ogni giorno fino a gennaio faccio le stesse quattro materie, ciascuna per circa un’ora e 25 minuti. A metà gennaio cambierò materie e farò quelle per il resto dell’anno, quindi otto materie in totale, e per ognuna il programma di un anno in sei mesi.  Nella maggior parte degli Stati il sistema è diverso, per cui scelgono molte materie che fanno per tutto l’anno in periodi di 45 minuti, un po’ più in stile italiano. All’ inizio credevo che sarebbe stato molto noioso fare le stesse materie ogni giorno e per così tanto tempo, ma ancora una volta NIENTE PREGIUDIZI. I professori non spiegano a ruota libera per tutto il tempo, tra una spiegazione e l’altra ci fanno fare attività pratiche per evitare una dormita di gruppo e sono molto molto simpatici. Cercano di essere le stesse persone sia nella scuola che al di fuori, per cui ci chiamano per nome (se non addirittura per soprannome), se ci vedono giù di morale ci parlano per cercare di aiutarci e sono spessissimo coaches. Il mio prof di fisica ad esempio è l’allenatore della squadra femminile di calcio per cui le ragazze con cui mangio (che sono calciatrici convinte) hanno un ottimo rapporto, quasi di amicizia, con lui.

L’ansia per le verifiche e per le interrogazioni in America non è contemplata.  I test orali non esistono e le verifiche sono semplicissime, tutte crocette: fa ridere come i miei compagni le ritengano difficili, io che sono italiana per ora ho tutte A e sono ritenuta un genio dei migliori. Per ora cerco di non pensare al ritorno in Italia perché per quanto riguarda la scuola, quello sì che mette ansia. I compiti sono pochi (variano leggermente a seconda del livello della materia) perché la scuola stessa promuove sport e clubs pomeridiani, e qua la maggior parte dei ragazzi ha un lavoro serale.

Ci sono tre livelli per ogni materia, Standard, CTP e Advanced Program. La differenza fondamentale è il carico di lavoro da svolgere a casa, gli insegnanti pretendono di più, ma niente pressioni inutili.

Le mie materie di questo primo semestre sono American Government che è davvero molto interessante perché per la prima volta capisco come gira il mondo in cui vivo, English 11 (con i ragazzi un anno più piccoli perché sarebbe difficile partire con il livello più alto), Physics e Environmental Science che è scienze ambientali per cui parliamo di inquinamento e cose così.

Il mio prof di Inglese ha 25 anni, quello di Fisica 65. Fratellone  che mi loda per la pronuncia quasi perfetta e fa di tutto per convincermi a leggere in classe e intervenire per poi complimentarsi, e quasi nonno che mi ama perché ama l’Italia ed è più interessato aa imparare parole in italiano che a insegnarci fisica.

Nel secondo semestre farò USA History, Pre-Calculus, Photography e English 12 (il livello più alto).

L’unico problema qua è che tendono a dividere le materie, nel senso che algebra, geometria, trigonometria e statistica sono quattro materie diverse, così come biologia, anatomia, scienze della terra e chimica. Loro riescono a dividerle nei quattro anni di liceo, ma io che sto qua solo uno farò solo una minima parte del programma italiano in cui matematica e scienze significano una piccola parte di tutto.

A metà giornata ho i 45 minuti di TASC che posso decidere con che prof passare per chiarire eventuali dubbi, mangiare una merendina, socializzare. Ogni ragazzo ogni lunedì programma il suo TASC per i seguenti quattro giorni per cui non sono quasi mai con le stesse persone.

Ci sono quattro turni per il pranzo, che dura 25 minuti, e si può decidere se portarsi il cibo da casa o mangiare i piatti rigorosamente fritti, qualsiasi cosa siano, della  mensa scolastica. Sconsiglio la pizza, perché non è pizza.

I mitici armadietti esistono e sono a prova di bomba per cui ora mezza scuola sa la mia combinazione perché i primi giorni non riuscivo proprio ad aprire quella scatola verde e chiedevo a gente a caso, che o mi prendeva per deficiente o prima di trarre conclusioni cercava di capire come potesse essere possibile che io non fossi capace.

Sono gli alunni a spostarsi da classe a classe mentre i prof stanno immobili ad aspettare sorridenti dietro la cattedra e nei bagni c’è SEMPRE la carta igienica.

 

2 Ottobre 2015


Ogni giorno, o quasi, è una novità qua in New Hampshire. C’è sempre qualcosa di diverso o nuovo che cambia la mia giornata in meglio, dettagli che diventano sorrisi.

Ogni giorno a metà giornata abbiamo un periodo chiamato TASC. Sono quarantacinque minuti da passare con un prof a scelta per fare i compiti o chiedere aiuto, e io il venerdì ho il TASC fisso con la prof di fotografia (anche se sarò nel suo corso solo da gennaio) perché il martedì pomeriggio frequento il “photography club”.

Quindi oggi, durante il mio TASC, ho sviluppato il mio primo rullino. È stata un’emozione grandissima, sia tornare indietro ai tempi in cui il digitale era un sogno,  sia vedere le mie foto prendere vita su un foglio bianco, giochi di luci e di magia.

Nel pomeriggio sono andata al centro commerciale di Portsmouth con Alex e Casey. Le ho conosciute lunedì ad un meeting organizzato dalla scuola per i nuovi studenti: fanno parte dei “peers” ovvero ragazzi del liceo che si occupano di far sentire a casa chiunque, e loro ci sono riuscite alla grande.

Qua, invece del “facciamo un giro in centro” c’è il “let’s go to the mall”, perché in NH boschi e paesini di quattromila abitanti spuntano come funghi, ma di città in cui fare shopping penso ce ne siano tre.

Abbiamo comprato oggetti inutili blu in preparazione della “spirit week”: da lunedì a venerdì tutta la scuola ogni giorno avrà un tema da seguire: lunedì pyjama day, martedì taki tourists e gli altri non me li ricordo a eccezione di venerdì che è il class’ color day; il colore dei seniors è blu, quindi noi tre dovremmo vestirci di blu (che tra l’altro è il mio colore preferito yee) per poi correre all’attesissimo football game, che è sì di routine ma resta sempre speciale e non annoia mai.

Dopo di che c’è stata la disperata ricerca dell’ “homecoming dress”: sabato sera la scuola organizza una festa e le ragazze devono avere rigorosamente un vestito, ma niente tacchi perché rovinano il pavimento della palestra enormemente grande in cui si svolgerà il tutto.

L’altro ieri invece, a proposito di nuove esperienze, sono andata per la prima volta in gita scolastica. Non si prospettava come una gita super entusiasmante essendo downtown ed essendo una gita all’insegna del “vediamo quanto è pulita l’acqua di questo fiume artificiale”, ma ancora una volta la voce nella mia testa che ripete no ai pregiudizi ha vinto: è stato molto interessante e allo stesso tempo divertentissimo. Sono riuscita a socializzare con un sacco di classmates che mi amano a prescindere perché sono italiana e  che mi hanno pregato di insegnare loro le parolacce. Non ho rifiutato ma ho cercato di insegnare loro anche qualcosa di carino però le parolacce hanno avuto la meglio.

sabato 19 settembre 2015

19 Settembre 2015

Sono stata a Manchester, la città più grande del New Hampshire, e la mia host mum ha deciso di portarmi a vedere un museo perché per il resto ci sono più attrazioni nel mio paesino di quattromila abitanti che in questa città da centomila.
Siamo entrate gratis perché viviamo in questo stato e abbiamo visto pezzi di storia dal 1800 al 2015, storie europee e americane, sculture e quadri.
Quando abbiamo girato l'angolo per la terza sala l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere era una mostra di fotografie di un grande James Nachtwey. "Afghanistan, Iraq, 9/11."
Le foto del crollo delle torri gemelle hanno avuto sì un impatto molto forte nella mia testa, ma quelle di Afghanistan e Iraq sono state come un pugno. Se tutti i pensieri formassero un muro, la storia di quelle foto e quelle foto stesse, l'avrebbero sfondato al primo colpo.
Avevo già visto molte volte le foto dell'11 Settembre perché in Italia ho molti libri che ne parlano ma non avevo mai pensato nulla di diverso da "li odio li odio li odio con tutta me stessa", in un certo senso non mi ero mai preoccupata di entrare nell'immagine e nel suo contesto.
Come ha detto Sam, la mia host sister, la guerra è un 9/11 ogni giorno.
Le foto della guerra mi hanno fatto riflettere, mi sono salite le lacrime agli occhi e un senso di nausea.
Ho pensato che io ho tutto. Sono felice: i miei genitori e tutte le persone che amo mi hanno permesso di realizzare il mio sogno e di venire negli States per dieci mesi. Ho pensato che io ho delle persone che mi amano e che io amo. Ho pensato che l'unica cosa che mi rende triste qua è la mancanza della mia famiglia e dei miei amici.
Poi ho pensato che il tempo vola, sono qua già da quasi un mese e che loro sono dall'altra parte dell'Oceano ad aspettarmi e che sono felici per la mia felicità perché sanno che vivo in un sogno, in un film.
Non c'è una guerra che ci divide, non devono preoccuparsi per me ogni giorno. Non c'è la paura di non rivedersi più. Ci sono dei campi da golf pazzeschi, non campi pieni di mine in cui  se mi andasse bene perderei una gamba. Ci sono bambini che giocano in strada, non ci sono bambini che se escono di casa vengono uccisi come fossero loro la causa di tutto questo disastro.
C'era una serie caotica di sessanta foto in fila, tutte di  soldati feriti. Ho fatto fatica a guardarle tutte, emanavano perfettamente la sofferenza e la disperazione di quei ragazzi.
Sembra quasi surreale che certe cose così terribili esistano. Sembra quasi surreale pensare a quanto la mia vita sia perfetta rispetto a quella di altre persone come me. Che magari in Afghanistan c'è una ragazza come me che è in una stanza d'ospedale perché suo fratello è stato ferito a morte. Non ha assolutamente niente di diverso da me ma è nata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Sono fortunata perché la guerra è una realtà lontanissima da me, sia qua che in Italia.
La guerra più grande che ho combattuto è stata per avere un cane oppure quella per non farmi lasciare dal mio fidanzato. Le ho perse entrambe (in questo momento ci sto ridendo sopra) ma sono viva dentro un sogno.
Vorrei così tanto che cessassero il fuoco in tutto il mondo, vorrei tanto che tutti potessero avere le opportunità che ho io. Spero che in futuro la guerra diventi una realtà del passato, bloccata nelle fotografie.
Quelle foto mi sono entrate in testa, nel cuore e nell'anima. Mi hanno mostrato una realtà che non dovrebbe esistere, mi hanno fatto pensare molto più di quanto mi facciano pensare certi articoli di giornale.
È per questo che amo la fotografia, parla. Ogni foto mostra la sua storia, mostra come gira una parte di mondo. Attraverso gli occhi dei soldati e delle loro famiglie ogni foto chiedeva e chiede disperatamente aiuto per un futuro migliore.
Le foto sono emozioni e riflessioni materializzate.
So che non cambierò il mondo e non fermerò la guerra scrivendo queste cose, ci tengo solo a esprimere quello che penso e a ringraziare per avermi fatto nascere in Italia e non in Iraq, per avermi permesso di realizzare il mio sogno. Il modo migliore per capire i miei pensieri e imparare ad apprezzare la realtà in cui viviamo però è quello di guardare quelle foto, dovrebbero essere ovunque su internet. Se avete voglia di riflettere, cercate fotografie di James Nachtwey.

12 Settembre 2015

Sono a Portsmouth con Sara (la mia amica italiana exchange come me) fino a domani perché la mia hsis è andata a fare una gara a New York.
Mi innamoro sempre di più di questo paese e di queste persone.
Ieri sera Liam, un suo compagno di scuola, si è offerto di venirci a prendere per portarci al primo football game della scuola, evento straordinario e attesissimo. È arrivato con un pick up enorme, fantastico, e si è subito dichiarato disponibilissimo a farci da taxista.
Ha tentato di spiegarci come funziona il football ma la cosa davvero pazzesca erano il tifo e l'orchestra a metà partita che quasi mozzava il fiato.
Fanno tutto così bello e così in grande qua negli States che si fa fatica a realizzare di esserci dentro perché è come essere in un film a tutti gli effetti e con tutti gli effetti speciali.
Oggi siamo uscite con due amiche di Sara dolcissime, che appena mi hanno vista "oh your outifit is fantastic, i really love it" e "you are so tall, do you know Vogue? Well, you seem like the models on its cover".
Abbiamo iniziato a parlare di tutto di più su una panchina in riva all'oceano e a un certo punto è spuntata una foca, troppo in fretta per poterle fare una foto ma abbastanza piano da poter essere certe che fosse una foca.
Abbiamo preso una crêpe alla Nutella con le fragole perché "Nutella is the best food on Earth, Italy is really cool"  e abbiamo conosciuto la mamma di July che ci ha invitate subito ad andare da loro quando vogliamo a guardare film mangiando gelato e, come tutti, ci ha augurato una buona esperienza e ci ha lodate per il nostro coraggio.
Siamo tornate a casa e gli host parents di Sara hanno deciso di portarci a vedere gli alpaca (sono troppo morbidi e abbracciosi) dei loro amici.
Animali "awkard" quota due.
Siamo andati tutti in un paese sul mare nel Massachusetts -sesto stato in due settimane e mezzo- a mangiare un hamburger (in un ristorante stra di lusso) che a metà mi esplodeva lo stomaco ma era così buono che ho dovuto finirlo. Abbiamo preso un cappuccino e dei cannoli "siciliani" per portare un po' di Italia nella nostra serata. Il fratello di Sara ha imparato ogni parolaccia possibile in italiano guardandole sul traduttore e ogni volta che ne scopriva una nuova scoppiava a ridere perché gli suonavano come "weird words".
È tutto così travolgente, bello, diverso qua che mi dispero già al pensiero di tornare e lasciare questi Americani, così poco orgogliosi di esserlo e così tanto orgogliosi di ospitare stranieri, così poco consapevoli di quanto siano fantastici.

giovedì 3 settembre 2015

Contrasti, famiglia e scuola Americani



Sono atterrata negli Stati Uniti da nove giorni, e mi sembra che siano passati mesi.


In nove giorni sono passata dallo stato di New York con la brillante, bellissima, spavalda New York City, tutta grattacieli, monitor pubblicitari con Miley Cyrus spudorata e sorridente e noleggiatori di bici e carrozze


Al Connecticut e al Massachusetts, che parevano  già volermi annunciare quanto sia incredibile la differenza tra uno stato e l’altro, o anche solo tra una città e l’altra


 Per arrivare in New Hampshire con Wolfeboro “the oldest summer resort in America” boschi, laghi che sembrano il mare, cervi, casette microscopiche ma a prova di metri e metri di neve, piatti prati immensi.


Forse sono le poche ma immense sfumature di questa East coast che mi fanno pensare di aver viaggiato per molto tempo anziché per poco più di una settimana e forse mi sento confusa e “almost bipolar” (no you’re not bipolar you’re fine, I knew Stephan King’s daughter and she was bipolar and you’re not I’m sure about it) perchè nonostante ci siano così tante varietà nessuna è Italia.


Il mondo sarà piccolo, ma per quel poco che ho visto ho già imparato che è anche molto vario e si può imparare ad amare questa diversità che per quanto sia difficile è molto affascinante.


Nel tragitto dall’aeroporto di Manchester (New Hampshire, New England, non England ma solo poca originalità e forse egocentrismo inglese) al mio paesino la mia mente era rivolta solo all’Italia e a quanto fosse diversa, a quanto mi mancasse già. C’è una strada dritta che percorre il New Hampshire da Sud a Nord, due corsie e solo boschi ai lati. Mentre ero in macchina pensavo solo “cosa sto facendo è un’impresa più grande di me la civiltà l’hanno lasciata a NYC voglio vedere un’alce o un orso ma non voglio viverci in mezzo Diletta sei pazza prendi un aereo e torna a Malpensa oppure torna semplicemente  a NY scappa ”.


Ho passato più o meno cinque giorni così a piangere come una disperata, restando troppo attaccata all’Italia


Adesso è la sera del 31 Agosto, sono le 22,19 (già troppo tardi per la mia nuova famiglia) e domani inizio scuola. Sto bene, sono un po’ nervosa ma non ho ancora realizzato che dentro questa enorme avventura domani ne comincio un’altra.


 


Primo giorno di settembre, compleanno della mia piccola Vì e della mia piccola Swap, primo giorno di scuola in New Hampshire.


La scuola dista circa cinque minuti in macchina da casa mia e siamo partite apposta per arrivare in orario venticinque minuti prima della prima campanella. A due metri da casa c’era un incidente, e la mia tachicardia ha raggiunto livelli da criceto in punto di morte quando mi sono resa conto che eravamo avanzati di due metri e che la prima campanella era già suonata da tre minuti.


Sono entrata a scuola tremando ma la mia ansia si è calmata quando ho iniziato a essere travolta nella gentilezza delle persone di qua. Ho chiesto ad una ragazza in ritardo come me se sapeva darmi le indicazioni per la classe 212 (la scuola è enorme e non so come facciano ad orientarsi così bene i ragazzi) e lei mi ci ha proprio accompagnato, alla classe di American Government. Il prof si è dimostrato entusiasta del mio essere Italiana (oh Milan! When I was young I used to play basketball in Milan. Italy is really amazing and believe me, I’m not saying it just because you’re here) e del mio ritardo non si è nemmeno accorto. La giornata è andata benone come anche le altre due seguenti.


Nella mia scuola come nella mia host family sono tutti (o quasi) amichevoli, disponibili e dolcissimi.


Le ragazze dell’ora di fisica mi hanno subito accolta nel loro gruppo chiuso di apparentemente tipiche cheerleaders ma in realtà giocatrici di calcio e di hockey a livello agonistico.


Erano quelle che avevo paura di non riuscire a frequentare e invece sono quelle che da tre giorni mi invitano a sedersi a pranzare con  loro, mi coinvolgono nei loro discorsi per quanto sia difficile sia per me che per loro, mi chiedono di parlare italiano e di ripetere il mio nome (oh my God Dileeetta is the best name I’ve ever heard can you repeat it please?  Italian sounds amazing, it’s so cool you’re Italian, the States are so boring, it’s sad you can say “I’m Italian” and we only can  say “We’re American”) e quando dico loro che i giovani italiani adorano gli States è incredibile quanto sorridano e quanto siano sorprese.


Quindi ho iniziato a pensare che ritenere il proprio paese peggio degli altri sia tipico dei giovani di tutto il mondo.


I professori hanno iniziato le lezioni dicendo che desiderano conoscere ognuno di noi, ma che siccome sanno che è difficile per qualcuno condividere davanti a tutti gli altri qualcosa di sé, ci fanno scrivere su un foglio che poi consegniamo loro. Proseguono dicendo che a tutti capita di avere giornate no e che loro sono sempre disponibili ad aiutarci e a darci consigli oppure a lasciarci fare due passi se non ce la facciamo più a stare seduti. Concludono augurandoci una buona giornata e dicendoci che è importante fare sport e che se non riusciamo a fare i compiti per quello possiamo anche portarli il giorno dopo.


È vero la scuola Italiana (per lo meno la mia) è sicuramente più tosta, ma qua non c’è un clima di continua tensione ed ansia, per i tre giorni che ho vissuto l’ho vissuta meglio. Non ero tanto agitata nemmeno quando ho dovuto presentare un lavoro di fisica da sola con il mio bad English perché c’era un clima privo di  giudizio ma solo pieno d’interesse.


Ho iniziato a eliminare ogni pregiudizio e la timidezza, presentandomi a chiunque e esibendomi in presentazioni di ogni genere (però annunciando sempre “my English is so bad cause I’m Italian”) e può sembrare strano ma non vedo l’ora di tornare a scuola.


Da quando è iniziata la scuola sono molto felice di essere qua c’è un clima molto sereno. Sto bene qua negli States nonostante i boschi, i soli quattromila abitanti e i negozi che vendono solo magliette con dei cervi disegnati sopra.


Nella famiglia mi trovo benissimo, ho una mamma del ’70 e una sorella esattamente della mia età. Fanno di tutto per farmi felice e per tenermi occupata e lontana dall’ “homesickness” che mi ha sfiancata nei primi giorni. Mia sorella, Samantha, cerca di coinvolgermi il più possibile tra scherma e amici di scuola, e se vede che sono un po’ triste si avvicina, sorride con gli occhi blu e mi chiede “Needing a hug?” anche se sa già qual è la risposta. La mia host mum ascolta i miei problemi, anche quelli di cuore e li affronta razionalmente insieme a me come ogni mamma sa fare.


Al contrario di quello che pensavo i primi giorni sono felicissima e orgogliosa della mia scelta di coraggio.

giovedì 30 luglio 2015

Hey there

Ehii, mi chiamo Diletta, ho diciassette anni e sto per fare la quarta liceo negli Stati Uniti, a Wolfeboro in New Hampshire (East cost, sopra New York City). Premesso che non capisco niente di questo sito e quindi il blog per ora fa un po' pietà, l'ho creato proprio per raccontare il mio viaggio-della-vita, prima, durante e dopo.
Ho intitolato il blog così perché mia madre, durante un mio momento di sconforto totale della serie "ma chi mi ha fatto fare di andare un anno in mezzo agli orsi, ai cervi e alle foreste" mi aveva proprio detto che il mio viaggio era come un viaggio sulla luna, unico e pazzesco, foreste e bestie varie comprese. La mia hmum mi ha detto di non preoccuparmi, che un anno vola e che sono molto coraggiosa. Non penso che sarò contenta quando mi renderò conto al mio ritorno che un anno è volato davvero troppo in fretta.
Ho tante (forse troppe) aspettative e una delle paure è che vengano deluse.
Sono super contenta, gasatissima ma altrettanto piena di momenti grigi come dicono che sia giusto che sia. Mancano 24 giorni alla mia partenza e soprattutto ora alterno momenti in cui penso "voglio partire ora" e altri in cui "non voglio partire più". La mia paura più grande è quella di sentire troppo la mancanza delle persone che amo, ma so che quelle più importanti resteranno al mio fianco.                  
I miei amici di WEP, conosciuti all'Orientation e non solo condividono con me tutte queste cose e ora che qualcuno inizia a partire io incomincio a realizzare. Si, sono consapevole della mia decisione ma mi sembra una cosa così grande e incredibile che probabilmente realizzerò in aeroporto il 23 Agosto, l'avventura che sto  per vivere.
Sicuramente coglierò l'attimo e non dimenticherò mai dell'opportunità enorme che è e che sarà in tutte le sue sfumature.
Anche "solo" il clima sarà un' esperienza dentro l'esperienza: d'estate 30° e d'inverno (dicembre-aprile, è lungo si) -30°, non è nemmeno difficile da ricordare.
Arriverò tra i grattacieli di New York e mi trasferirò nei grattacieli di neve del New Hampshire, sarà bellissimo.