giovedì 3 settembre 2015

Contrasti, famiglia e scuola Americani



Sono atterrata negli Stati Uniti da nove giorni, e mi sembra che siano passati mesi.


In nove giorni sono passata dallo stato di New York con la brillante, bellissima, spavalda New York City, tutta grattacieli, monitor pubblicitari con Miley Cyrus spudorata e sorridente e noleggiatori di bici e carrozze


Al Connecticut e al Massachusetts, che parevano  già volermi annunciare quanto sia incredibile la differenza tra uno stato e l’altro, o anche solo tra una città e l’altra


 Per arrivare in New Hampshire con Wolfeboro “the oldest summer resort in America” boschi, laghi che sembrano il mare, cervi, casette microscopiche ma a prova di metri e metri di neve, piatti prati immensi.


Forse sono le poche ma immense sfumature di questa East coast che mi fanno pensare di aver viaggiato per molto tempo anziché per poco più di una settimana e forse mi sento confusa e “almost bipolar” (no you’re not bipolar you’re fine, I knew Stephan King’s daughter and she was bipolar and you’re not I’m sure about it) perchè nonostante ci siano così tante varietà nessuna è Italia.


Il mondo sarà piccolo, ma per quel poco che ho visto ho già imparato che è anche molto vario e si può imparare ad amare questa diversità che per quanto sia difficile è molto affascinante.


Nel tragitto dall’aeroporto di Manchester (New Hampshire, New England, non England ma solo poca originalità e forse egocentrismo inglese) al mio paesino la mia mente era rivolta solo all’Italia e a quanto fosse diversa, a quanto mi mancasse già. C’è una strada dritta che percorre il New Hampshire da Sud a Nord, due corsie e solo boschi ai lati. Mentre ero in macchina pensavo solo “cosa sto facendo è un’impresa più grande di me la civiltà l’hanno lasciata a NYC voglio vedere un’alce o un orso ma non voglio viverci in mezzo Diletta sei pazza prendi un aereo e torna a Malpensa oppure torna semplicemente  a NY scappa ”.


Ho passato più o meno cinque giorni così a piangere come una disperata, restando troppo attaccata all’Italia


Adesso è la sera del 31 Agosto, sono le 22,19 (già troppo tardi per la mia nuova famiglia) e domani inizio scuola. Sto bene, sono un po’ nervosa ma non ho ancora realizzato che dentro questa enorme avventura domani ne comincio un’altra.


 


Primo giorno di settembre, compleanno della mia piccola Vì e della mia piccola Swap, primo giorno di scuola in New Hampshire.


La scuola dista circa cinque minuti in macchina da casa mia e siamo partite apposta per arrivare in orario venticinque minuti prima della prima campanella. A due metri da casa c’era un incidente, e la mia tachicardia ha raggiunto livelli da criceto in punto di morte quando mi sono resa conto che eravamo avanzati di due metri e che la prima campanella era già suonata da tre minuti.


Sono entrata a scuola tremando ma la mia ansia si è calmata quando ho iniziato a essere travolta nella gentilezza delle persone di qua. Ho chiesto ad una ragazza in ritardo come me se sapeva darmi le indicazioni per la classe 212 (la scuola è enorme e non so come facciano ad orientarsi così bene i ragazzi) e lei mi ci ha proprio accompagnato, alla classe di American Government. Il prof si è dimostrato entusiasta del mio essere Italiana (oh Milan! When I was young I used to play basketball in Milan. Italy is really amazing and believe me, I’m not saying it just because you’re here) e del mio ritardo non si è nemmeno accorto. La giornata è andata benone come anche le altre due seguenti.


Nella mia scuola come nella mia host family sono tutti (o quasi) amichevoli, disponibili e dolcissimi.


Le ragazze dell’ora di fisica mi hanno subito accolta nel loro gruppo chiuso di apparentemente tipiche cheerleaders ma in realtà giocatrici di calcio e di hockey a livello agonistico.


Erano quelle che avevo paura di non riuscire a frequentare e invece sono quelle che da tre giorni mi invitano a sedersi a pranzare con  loro, mi coinvolgono nei loro discorsi per quanto sia difficile sia per me che per loro, mi chiedono di parlare italiano e di ripetere il mio nome (oh my God Dileeetta is the best name I’ve ever heard can you repeat it please?  Italian sounds amazing, it’s so cool you’re Italian, the States are so boring, it’s sad you can say “I’m Italian” and we only can  say “We’re American”) e quando dico loro che i giovani italiani adorano gli States è incredibile quanto sorridano e quanto siano sorprese.


Quindi ho iniziato a pensare che ritenere il proprio paese peggio degli altri sia tipico dei giovani di tutto il mondo.


I professori hanno iniziato le lezioni dicendo che desiderano conoscere ognuno di noi, ma che siccome sanno che è difficile per qualcuno condividere davanti a tutti gli altri qualcosa di sé, ci fanno scrivere su un foglio che poi consegniamo loro. Proseguono dicendo che a tutti capita di avere giornate no e che loro sono sempre disponibili ad aiutarci e a darci consigli oppure a lasciarci fare due passi se non ce la facciamo più a stare seduti. Concludono augurandoci una buona giornata e dicendoci che è importante fare sport e che se non riusciamo a fare i compiti per quello possiamo anche portarli il giorno dopo.


È vero la scuola Italiana (per lo meno la mia) è sicuramente più tosta, ma qua non c’è un clima di continua tensione ed ansia, per i tre giorni che ho vissuto l’ho vissuta meglio. Non ero tanto agitata nemmeno quando ho dovuto presentare un lavoro di fisica da sola con il mio bad English perché c’era un clima privo di  giudizio ma solo pieno d’interesse.


Ho iniziato a eliminare ogni pregiudizio e la timidezza, presentandomi a chiunque e esibendomi in presentazioni di ogni genere (però annunciando sempre “my English is so bad cause I’m Italian”) e può sembrare strano ma non vedo l’ora di tornare a scuola.


Da quando è iniziata la scuola sono molto felice di essere qua c’è un clima molto sereno. Sto bene qua negli States nonostante i boschi, i soli quattromila abitanti e i negozi che vendono solo magliette con dei cervi disegnati sopra.


Nella famiglia mi trovo benissimo, ho una mamma del ’70 e una sorella esattamente della mia età. Fanno di tutto per farmi felice e per tenermi occupata e lontana dall’ “homesickness” che mi ha sfiancata nei primi giorni. Mia sorella, Samantha, cerca di coinvolgermi il più possibile tra scherma e amici di scuola, e se vede che sono un po’ triste si avvicina, sorride con gli occhi blu e mi chiede “Needing a hug?” anche se sa già qual è la risposta. La mia host mum ascolta i miei problemi, anche quelli di cuore e li affronta razionalmente insieme a me come ogni mamma sa fare.


Al contrario di quello che pensavo i primi giorni sono felicissima e orgogliosa della mia scelta di coraggio.

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