sabato 19 settembre 2015

19 Settembre 2015

Sono stata a Manchester, la città più grande del New Hampshire, e la mia host mum ha deciso di portarmi a vedere un museo perché per il resto ci sono più attrazioni nel mio paesino di quattromila abitanti che in questa città da centomila.
Siamo entrate gratis perché viviamo in questo stato e abbiamo visto pezzi di storia dal 1800 al 2015, storie europee e americane, sculture e quadri.
Quando abbiamo girato l'angolo per la terza sala l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere era una mostra di fotografie di un grande James Nachtwey. "Afghanistan, Iraq, 9/11."
Le foto del crollo delle torri gemelle hanno avuto sì un impatto molto forte nella mia testa, ma quelle di Afghanistan e Iraq sono state come un pugno. Se tutti i pensieri formassero un muro, la storia di quelle foto e quelle foto stesse, l'avrebbero sfondato al primo colpo.
Avevo già visto molte volte le foto dell'11 Settembre perché in Italia ho molti libri che ne parlano ma non avevo mai pensato nulla di diverso da "li odio li odio li odio con tutta me stessa", in un certo senso non mi ero mai preoccupata di entrare nell'immagine e nel suo contesto.
Come ha detto Sam, la mia host sister, la guerra è un 9/11 ogni giorno.
Le foto della guerra mi hanno fatto riflettere, mi sono salite le lacrime agli occhi e un senso di nausea.
Ho pensato che io ho tutto. Sono felice: i miei genitori e tutte le persone che amo mi hanno permesso di realizzare il mio sogno e di venire negli States per dieci mesi. Ho pensato che io ho delle persone che mi amano e che io amo. Ho pensato che l'unica cosa che mi rende triste qua è la mancanza della mia famiglia e dei miei amici.
Poi ho pensato che il tempo vola, sono qua già da quasi un mese e che loro sono dall'altra parte dell'Oceano ad aspettarmi e che sono felici per la mia felicità perché sanno che vivo in un sogno, in un film.
Non c'è una guerra che ci divide, non devono preoccuparsi per me ogni giorno. Non c'è la paura di non rivedersi più. Ci sono dei campi da golf pazzeschi, non campi pieni di mine in cui  se mi andasse bene perderei una gamba. Ci sono bambini che giocano in strada, non ci sono bambini che se escono di casa vengono uccisi come fossero loro la causa di tutto questo disastro.
C'era una serie caotica di sessanta foto in fila, tutte di  soldati feriti. Ho fatto fatica a guardarle tutte, emanavano perfettamente la sofferenza e la disperazione di quei ragazzi.
Sembra quasi surreale che certe cose così terribili esistano. Sembra quasi surreale pensare a quanto la mia vita sia perfetta rispetto a quella di altre persone come me. Che magari in Afghanistan c'è una ragazza come me che è in una stanza d'ospedale perché suo fratello è stato ferito a morte. Non ha assolutamente niente di diverso da me ma è nata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Sono fortunata perché la guerra è una realtà lontanissima da me, sia qua che in Italia.
La guerra più grande che ho combattuto è stata per avere un cane oppure quella per non farmi lasciare dal mio fidanzato. Le ho perse entrambe (in questo momento ci sto ridendo sopra) ma sono viva dentro un sogno.
Vorrei così tanto che cessassero il fuoco in tutto il mondo, vorrei tanto che tutti potessero avere le opportunità che ho io. Spero che in futuro la guerra diventi una realtà del passato, bloccata nelle fotografie.
Quelle foto mi sono entrate in testa, nel cuore e nell'anima. Mi hanno mostrato una realtà che non dovrebbe esistere, mi hanno fatto pensare molto più di quanto mi facciano pensare certi articoli di giornale.
È per questo che amo la fotografia, parla. Ogni foto mostra la sua storia, mostra come gira una parte di mondo. Attraverso gli occhi dei soldati e delle loro famiglie ogni foto chiedeva e chiede disperatamente aiuto per un futuro migliore.
Le foto sono emozioni e riflessioni materializzate.
So che non cambierò il mondo e non fermerò la guerra scrivendo queste cose, ci tengo solo a esprimere quello che penso e a ringraziare per avermi fatto nascere in Italia e non in Iraq, per avermi permesso di realizzare il mio sogno. Il modo migliore per capire i miei pensieri e imparare ad apprezzare la realtà in cui viviamo però è quello di guardare quelle foto, dovrebbero essere ovunque su internet. Se avete voglia di riflettere, cercate fotografie di James Nachtwey.

12 Settembre 2015

Sono a Portsmouth con Sara (la mia amica italiana exchange come me) fino a domani perché la mia hsis è andata a fare una gara a New York.
Mi innamoro sempre di più di questo paese e di queste persone.
Ieri sera Liam, un suo compagno di scuola, si è offerto di venirci a prendere per portarci al primo football game della scuola, evento straordinario e attesissimo. È arrivato con un pick up enorme, fantastico, e si è subito dichiarato disponibilissimo a farci da taxista.
Ha tentato di spiegarci come funziona il football ma la cosa davvero pazzesca erano il tifo e l'orchestra a metà partita che quasi mozzava il fiato.
Fanno tutto così bello e così in grande qua negli States che si fa fatica a realizzare di esserci dentro perché è come essere in un film a tutti gli effetti e con tutti gli effetti speciali.
Oggi siamo uscite con due amiche di Sara dolcissime, che appena mi hanno vista "oh your outifit is fantastic, i really love it" e "you are so tall, do you know Vogue? Well, you seem like the models on its cover".
Abbiamo iniziato a parlare di tutto di più su una panchina in riva all'oceano e a un certo punto è spuntata una foca, troppo in fretta per poterle fare una foto ma abbastanza piano da poter essere certe che fosse una foca.
Abbiamo preso una crêpe alla Nutella con le fragole perché "Nutella is the best food on Earth, Italy is really cool"  e abbiamo conosciuto la mamma di July che ci ha invitate subito ad andare da loro quando vogliamo a guardare film mangiando gelato e, come tutti, ci ha augurato una buona esperienza e ci ha lodate per il nostro coraggio.
Siamo tornate a casa e gli host parents di Sara hanno deciso di portarci a vedere gli alpaca (sono troppo morbidi e abbracciosi) dei loro amici.
Animali "awkard" quota due.
Siamo andati tutti in un paese sul mare nel Massachusetts -sesto stato in due settimane e mezzo- a mangiare un hamburger (in un ristorante stra di lusso) che a metà mi esplodeva lo stomaco ma era così buono che ho dovuto finirlo. Abbiamo preso un cappuccino e dei cannoli "siciliani" per portare un po' di Italia nella nostra serata. Il fratello di Sara ha imparato ogni parolaccia possibile in italiano guardandole sul traduttore e ogni volta che ne scopriva una nuova scoppiava a ridere perché gli suonavano come "weird words".
È tutto così travolgente, bello, diverso qua che mi dispero già al pensiero di tornare e lasciare questi Americani, così poco orgogliosi di esserlo e così tanto orgogliosi di ospitare stranieri, così poco consapevoli di quanto siano fantastici.

giovedì 3 settembre 2015

Contrasti, famiglia e scuola Americani



Sono atterrata negli Stati Uniti da nove giorni, e mi sembra che siano passati mesi.


In nove giorni sono passata dallo stato di New York con la brillante, bellissima, spavalda New York City, tutta grattacieli, monitor pubblicitari con Miley Cyrus spudorata e sorridente e noleggiatori di bici e carrozze


Al Connecticut e al Massachusetts, che parevano  già volermi annunciare quanto sia incredibile la differenza tra uno stato e l’altro, o anche solo tra una città e l’altra


 Per arrivare in New Hampshire con Wolfeboro “the oldest summer resort in America” boschi, laghi che sembrano il mare, cervi, casette microscopiche ma a prova di metri e metri di neve, piatti prati immensi.


Forse sono le poche ma immense sfumature di questa East coast che mi fanno pensare di aver viaggiato per molto tempo anziché per poco più di una settimana e forse mi sento confusa e “almost bipolar” (no you’re not bipolar you’re fine, I knew Stephan King’s daughter and she was bipolar and you’re not I’m sure about it) perchè nonostante ci siano così tante varietà nessuna è Italia.


Il mondo sarà piccolo, ma per quel poco che ho visto ho già imparato che è anche molto vario e si può imparare ad amare questa diversità che per quanto sia difficile è molto affascinante.


Nel tragitto dall’aeroporto di Manchester (New Hampshire, New England, non England ma solo poca originalità e forse egocentrismo inglese) al mio paesino la mia mente era rivolta solo all’Italia e a quanto fosse diversa, a quanto mi mancasse già. C’è una strada dritta che percorre il New Hampshire da Sud a Nord, due corsie e solo boschi ai lati. Mentre ero in macchina pensavo solo “cosa sto facendo è un’impresa più grande di me la civiltà l’hanno lasciata a NYC voglio vedere un’alce o un orso ma non voglio viverci in mezzo Diletta sei pazza prendi un aereo e torna a Malpensa oppure torna semplicemente  a NY scappa ”.


Ho passato più o meno cinque giorni così a piangere come una disperata, restando troppo attaccata all’Italia


Adesso è la sera del 31 Agosto, sono le 22,19 (già troppo tardi per la mia nuova famiglia) e domani inizio scuola. Sto bene, sono un po’ nervosa ma non ho ancora realizzato che dentro questa enorme avventura domani ne comincio un’altra.


 


Primo giorno di settembre, compleanno della mia piccola Vì e della mia piccola Swap, primo giorno di scuola in New Hampshire.


La scuola dista circa cinque minuti in macchina da casa mia e siamo partite apposta per arrivare in orario venticinque minuti prima della prima campanella. A due metri da casa c’era un incidente, e la mia tachicardia ha raggiunto livelli da criceto in punto di morte quando mi sono resa conto che eravamo avanzati di due metri e che la prima campanella era già suonata da tre minuti.


Sono entrata a scuola tremando ma la mia ansia si è calmata quando ho iniziato a essere travolta nella gentilezza delle persone di qua. Ho chiesto ad una ragazza in ritardo come me se sapeva darmi le indicazioni per la classe 212 (la scuola è enorme e non so come facciano ad orientarsi così bene i ragazzi) e lei mi ci ha proprio accompagnato, alla classe di American Government. Il prof si è dimostrato entusiasta del mio essere Italiana (oh Milan! When I was young I used to play basketball in Milan. Italy is really amazing and believe me, I’m not saying it just because you’re here) e del mio ritardo non si è nemmeno accorto. La giornata è andata benone come anche le altre due seguenti.


Nella mia scuola come nella mia host family sono tutti (o quasi) amichevoli, disponibili e dolcissimi.


Le ragazze dell’ora di fisica mi hanno subito accolta nel loro gruppo chiuso di apparentemente tipiche cheerleaders ma in realtà giocatrici di calcio e di hockey a livello agonistico.


Erano quelle che avevo paura di non riuscire a frequentare e invece sono quelle che da tre giorni mi invitano a sedersi a pranzare con  loro, mi coinvolgono nei loro discorsi per quanto sia difficile sia per me che per loro, mi chiedono di parlare italiano e di ripetere il mio nome (oh my God Dileeetta is the best name I’ve ever heard can you repeat it please?  Italian sounds amazing, it’s so cool you’re Italian, the States are so boring, it’s sad you can say “I’m Italian” and we only can  say “We’re American”) e quando dico loro che i giovani italiani adorano gli States è incredibile quanto sorridano e quanto siano sorprese.


Quindi ho iniziato a pensare che ritenere il proprio paese peggio degli altri sia tipico dei giovani di tutto il mondo.


I professori hanno iniziato le lezioni dicendo che desiderano conoscere ognuno di noi, ma che siccome sanno che è difficile per qualcuno condividere davanti a tutti gli altri qualcosa di sé, ci fanno scrivere su un foglio che poi consegniamo loro. Proseguono dicendo che a tutti capita di avere giornate no e che loro sono sempre disponibili ad aiutarci e a darci consigli oppure a lasciarci fare due passi se non ce la facciamo più a stare seduti. Concludono augurandoci una buona giornata e dicendoci che è importante fare sport e che se non riusciamo a fare i compiti per quello possiamo anche portarli il giorno dopo.


È vero la scuola Italiana (per lo meno la mia) è sicuramente più tosta, ma qua non c’è un clima di continua tensione ed ansia, per i tre giorni che ho vissuto l’ho vissuta meglio. Non ero tanto agitata nemmeno quando ho dovuto presentare un lavoro di fisica da sola con il mio bad English perché c’era un clima privo di  giudizio ma solo pieno d’interesse.


Ho iniziato a eliminare ogni pregiudizio e la timidezza, presentandomi a chiunque e esibendomi in presentazioni di ogni genere (però annunciando sempre “my English is so bad cause I’m Italian”) e può sembrare strano ma non vedo l’ora di tornare a scuola.


Da quando è iniziata la scuola sono molto felice di essere qua c’è un clima molto sereno. Sto bene qua negli States nonostante i boschi, i soli quattromila abitanti e i negozi che vendono solo magliette con dei cervi disegnati sopra.


Nella famiglia mi trovo benissimo, ho una mamma del ’70 e una sorella esattamente della mia età. Fanno di tutto per farmi felice e per tenermi occupata e lontana dall’ “homesickness” che mi ha sfiancata nei primi giorni. Mia sorella, Samantha, cerca di coinvolgermi il più possibile tra scherma e amici di scuola, e se vede che sono un po’ triste si avvicina, sorride con gli occhi blu e mi chiede “Needing a hug?” anche se sa già qual è la risposta. La mia host mum ascolta i miei problemi, anche quelli di cuore e li affronta razionalmente insieme a me come ogni mamma sa fare.


Al contrario di quello che pensavo i primi giorni sono felicissima e orgogliosa della mia scelta di coraggio.